Quando a scuola si impara una lezione di vita. La madre condannata per aver turbato le lezioni
Una signora si reca a prelevare il figlio a scuola prima della fine delle lezioni, tuttavia senza avvisare le autorità scolastiche e, giunta a scuola, aggredendo il personale della segreteria, che a sua detta non era abbastanza sollecito nel chiamare il ragazzo.
In conseguenza del diverbio col personale scolastico si genera un gran baccano, che fa sì che nelle aule si interrompano le lezioni per rendersi conto di quanto sta accadendo e maestre ed alunni escono in corridoio a sincerarsi della situazione.
Il tutto comporta un certo spettacolo, che distoglie dalle lezioni docenti e studenti per almeno una decina di minuti, fin quando la madre, sempre sbraitando, si porta via il figlio.
I dirigenti scolastici ritengono scorretto il comportamento tenuto dalla signora e pertanto redigono un esposto alle autorità di polizia, dal quale nasce un processo penale a carico della donna.
Ella viene condannata, dapprima in primo grado, con successiva conferma in Corte d’Appello, per il reato previsto dall’art. 340 c.p., ossia l’”interruzione di pubblico servizio”.
Prevede l’articolo in questione che
“Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge, cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità, è punito con la reclusione fino a un anno.”
Il caso giunge fino alla Corte di Cassazione, la quale, con sentenza n. 28213/2020, conferma la condanna a carico della signora, poiché considera colpevole del reato in questione anche chi, ingenerando con la sua condotta aggressiva uno stato di turbamento negli studenti e negli insegnanti, interrompe le lezioni per soli dieci minuti. Non occorre infatti che l’ufficio o il servizio siano interrotti definitivamente, basta il mero turbamento del suo ordinato e regolare svolgimento.
Secondo la Cassazione, l’ingresso dell’imputata nella scuola “in orario non a ciò previsto, utilizzando una porta secondaria retrostante dell’istituto, prelevando il proprio figlio senza alcuna comunicazione ed autorizzazione, con quel che ne è seguito in termini di aggressione verbale nei confronti della collaboratrice Ca., ha fatto si che si determinasse tra gli alunni e gli insegnanti in generale un’agitazione tale da indurli ad interrompere le attività didattiche ed affacciarsi dalle aule per capire cosa stesse succedendo ed intervenire opportunamente, assieme alla dirigente scolastica.”
Affinché si configuri il reato di interruzione di un ufficio o di un servizio pubblico o di pubblica necessità, infatti, non è necessario che lo stesso venga interrotto o turbato nella sua totalità, essendo sufficiente che lo stesso venga anche solo in parte compromesso nel suo svolgimento. Questo perché la fattispecie non tutela solo il funzionamento effettivo di un ufficio o servizio pubblico, ma anche il suo svolgimento in modo regolare e ordinato.
Viene esclusa dalla Cassazione anche l’eccezione mossa dalla difesa dell’imputata circa la particolare tenuità del fatto, cioè una causa di non punibilità introdotta piuttosto di recente che, pur non incidendo sull’esistenza del reato, comporta la non punibilità del reo per motivi di opportunità di non sanzionare condotte che siano di assai scarsa offensività e non abituali. Secondo la Corte mancano tanto il presupposto della particolare tenuità del fatto, considerato invece piuttosto grave, sia il requisito della non abitualità, in quanto non era la prima volta che l’imputata si recava nella scuola senza rispettare le regole di comportamento richieste, aggredendo, accusando, minacciando e ingiuriando insegnanti e operatori scolastici per difendere il figlio, che in diverse occasioni era stato ripreso a causa delle sue condotte violente e aggressive nei confronti di compagni e insegnanti.